L’afefobia è un disturbo che può intaccare su più livelli la vita delle persone, ecco in cosa consiste e come combatterla
Afefobia significa letteralmente paura di toccare, ma viene vissuta principalmente al passivo, ovvero come paura di essere toccati.
Questo timore rispetto al contatto fisico può nascere come conseguenza di eventi traumatici, ad esempio come forma di PTSD, Disturbo Post Traumatico da Stress, oppure può essere un effetto collaterale di alcuni disturbi come lo spettro autistico, in cui il segnale tattile, se inteso come scambio sociale, assume valenza negativa. Per esempio, un bambino autistico non prova sollievo se abbracciato perché quel tipo di contatto viene percepito da lui come doloroso o fastidioso.
Possiamo dire, quindi, che l’afefobia si manifesti come sintomo secondario di altre condizioni, ma scopriamo in cosa consiste e come si può combattere nella vita di tutti i giorni.
I sintomi dell’afefobia sono riconducibili ad un’attivazione negativa dell’organismo. Chi soffre di afefobia, se toccato anche solo accidentalmente, comincerà ad avvertire tachicardia, sudorazione eccessiva, nausea e tremori. Nei casi più gravi la situazione potrebbe addirittura precipitare in un attacco di panico.
Le persone che soffrono di afefobia tendono anche a sviluppare un atteggiamento evitante, ovvero ad evitare qualsiasi situazione che potrebbe comportare un contatto fisico con altre persone, anche solo accidentale.
Questo vuol dire che anche la loro vita privata e intima viene messa in discussione. Infatti, l’afefobia non migliora neanche nel caso in cui sia il partner, quindi una persona fidata, a provocare il contatto.
Il contatto è importante all’interno delle dinamiche di coppia. Non parliamo unicamente dell’atto sessuale in sé ma di piccoli contatti fisici che rafforzano il legame tra due individui e ne determinano il grado di intimità. Infatti, non facciamo entrare chiunque nel nostro spazio vitale, ma lasciamo questo privilegio a persone che scegliamo e che riteniamo degne della nostra fiducia.
Lasciare che qualcuno ci accarezzi vuol dire accettare la sua vicinanza e il suo irrompere all’interno di uno spazio che solitamente è solo nostro.
Chi vive il contatto fisico come fonte di ansia e stress, come in questo caso, nella vita di coppia fa molta fatica a lasciarsi toccare o a cercare il contatto con la persona che ama, nonostante i sentimenti che prova o la fiducia che ripone in lui/lei.
Questo comporta una riduzione del desiderio sessuale e una mancanza di intimità emotiva e fisica, andando a limitare la capacità relazionale dell’individuo.
Come abbiamo visto, l’afefobia si manifesta quasi sempre come effetto collaterale o conseguenza di un altro disturbo o di un trauma subito.
Ecco un elenco di fattori che potrebbero provocare l’afefobia:
L’afefobia si combatte risalendo alla causa reale che ha provocato questo disturbo.
La letteratura clinica è limitata a riguardo proprio a casa del suo essere un sintomo secondario di altre patologie. Tuttavia, risalendo alla reale patologia e al disturbo principale si può andare a mitigare l’effetto invalidante che l’afefobia provoca nella vita di chi ne soffre.
Un percorso terapeutico, talvolta integrato con dei farmaci adeguati, può aiutare l’individuo a gestire i momenti più invalidanti mentre cerca di addentrarsi su quelle che sono le reali motivazioni sottostanti al disagio.
Per esempio, una donna che è stata vittima di abusi, affrontando il trauma nel modo giusto con un professionista potrebbe cominciare ad elaborare in un modo più funzionale per il suo benessere psicologico quanto le è capitato, andando a combattere nello stesso tempo la fobia rispetto al contatto fisico.
La terapia breve strategica si basa su un assunto di base che è quello dell’esposizione.
L’esposizione aiuta a familiarizzare con ciò che temiamo e a cominciare a considerarlo affrontabile e tollerabile. In poche parole, per modificare le credenze disfunzionali, in questo caso l’associazione contatto=dolore, occorre sottoporsi in un ambiente controllato ad episodi di contatto. Inizialmente il contatto potrebbe essere breve e man mano aumentare di durata.
Questa esposizione progressivamente più lunga, in un ambiente sicuro in cui la persona si sente protetta, farà in modo che piano piano il contatto fisico non venga più vissuto come qualcosa di negativo, proprio grazie alla familiarizzazione.
Per chi soffre di questo disturbo anche solo una stretta di mano o un abbraccio veloce possono suscitare reazioni negative anche gravi, come attacchi di panico. Quello che possiamo fare per cercare di aiutare chi ne soffre è mostrare vicinanza emotiva e non fisica.
Essere empatici, ascoltare e immedesimarsi in loro è un buon modo per dimostrare vicinanza e solidarietà. Soprattutto nel caso di un partner, avere pazienza e non fare mai vergognare o colpevolizzare la persona che si ha di fianco è un supporto emotivo importante.
In questo modo il percorso di terapia potrebbe rivelarsi ancora più efficace: non esiste solo il contatto fisico per stare vicino alle persone, ma anche una parola giusta, un sorriso, o del tempo di qualità passato insieme possono aiutare a distrarsi e a rafforzare il legame di fiducia con l’altro.
La fiducia è un buon punto di partenza per imparare ad accettare il contatto fisico di qualcuno, man mano che la fobia comincia ad essere sotto controllo.
In conclusione, l’afefobia è un disturbo invalidante soprattutto per quanto riguarda la sfera privata ed emotiva di un individuo. Per combatterla è necessario affidarsi ad uno psicoterapeuta che sappia approndire le cause del disturbo e guidare chi ne soffre fuori da questo tunnel.
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