Un nuovo metodo sperimentale potrà identificare i pazienti a rischio infarto: basta una semplice misurazione cardiaca.
Sono 5 milioni ogni anno le persone che muoiono di infarto nel mondo e ben 50.000 casi in Italia riguardano gli under 35. Nessun sintomo premonitore: la malattia cardiaca improvvisa può colpire individui giovani, forti e apparentemente sani.
La morte cardiaca improvvisa è infatti un fenomeno di natura repentina e ancora misterioso per la medicina. Di solito legata ad anomalie congenite o condizioni silenziose, risulta tuttora difficile intercettare le reali cause o quantomeno prevenire un attacco improvviso.
Il campo scientifico però, è pronto a colmare queste lacune: i ricercatori finlandesi hanno sviluppato un algoritmo in grado di identificare i soggetti con maggior probabilità di morire a causa di un attacco cardiaco. Il metodo, studiato nel dettaglio, funge come prevenzione, ma anche come campanello d’allarme per eventi quali attacchi imminenti.
Il test per capire se si è a rischio infarto: lo studio
Il metodo sperimentale si basa su un parametro statistico chiamato analisi di fluttuazione detrended (DFA2 a1), grazie al quale è possibile cogliere variazioni nella frequenza cardiaca associate al rischio di morte cardiaca improvvisa. Il team di Hernesniemi ha collaborato con vari istituti per analizzare i dati di circa 4.000 pazienti dello studio FINCAVAS (Finnish Cardiovascular Study). I ricercatori hanno rilevato che le variazioni di frequenza cardiaca a riposo sono un indicatore significativo del rischio di morte cardiaca improvvisa.
Durante un follow-up di circa 8 anni, si sono verificati 83 casi di morte cardiaca improvvisa. Gli elettrocardiogrammi di 1 minuto hanno mostrato che i pazienti con anomalie nella frequenza cardiaca avevano una probabilità di MCI 2,4 volte maggiore rispetto a quelli con frequenza cardiaca normale.
La cosa interessante è che queste anomalie possono essere rilevate anche attraverso dispositivi indossabili come smartwatch o smart ring, rendendo possibile la prevenzione anche in ambito domestico. “È possibile che molti casi di morte cardiaca improvvisa, o di rianimazione dopo un arresto cardiaco, sarebbero stati prevedibili e prevenibili se i fattori di rischio fossero stati rilevati in tempo,” ha dichiarato il professor Hernesniemi. Questa ricerca, infatti, potrebbe essere una sorta di rivalsa per il campo scientifico, da sempre impotente di fronte a questi fenomeni.
Inoltre, un recente studio ha dimostrato che un nuovo metodo di defibrillazione, chiamato ‘doppia defibrillazione esterna sequenziale’ (DSED), può salvare la vita di pazienti in arresto cardiaco non rispondenti ai trattamenti standard. Si tratta di due scoperte diverse, ma che viaggiano sulla stessa onda: la combinazione di questa procedura con l’identificazione dei pazienti a rischio di morte cardiaca improvvisa potrebbe salvare ogni anno un numero significativo di vite.