Sono tante le domande su una malattia neurogenerativa come l’Alzheimer. Il nuovo studio rivela il ruolo del ceppo materno e dell’ereditarietà.
L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce il cervello, portando a un declino graduale delle funzioni cognitive. Questa malattia ha degli effetti sulla memoria e sulle capacità di pensiero. È la forma più comune di demenza e rappresenta una delle principali cause di disabilità tra gli anziani. Uno dei primi segni evidenti è la difficoltà a ricordare informazioni recenti, eventi importanti o dettagli quotidiani. Ma la perdita della memoria può arrivare a colpire anche eventi passati e informazioni personali.
Le persone con Alzheimer possono incontrare difficoltà nel pensiero astratto, nel ragionamento, nel giudizio e nel problem solving. Le attività quotidiane diventano sempre più complesse. Gli individui affetti da Alzheimer possono sentirsi confusi riguardo al tempo, al luogo e alle persone. Inoltre potrebbero sorgere anche dei problemi riguardanti la comunicazione o la comprensione del significato di alcune parole. Sono diversi gli studi che cercano di far chiarezza sull’Alzheimer e soprattutto sul ruolo del ceppo materno.
Alzheimer, l’ultimo studio fa chiarezza: che ruolo ha il ceppo materno
Recenti studi condotti dal Mass General Brigham hanno gettato nuova luce sul legame tra eredità genetica e rischio di Alzheimer, concentrando l’attenzione sull’influenza della storia familiare materna nella predisposizione alla malattia.
Questa ricerca, pubblicata su Jama Neurology, evidenzia come la familiarità con la malattia possa influenzare significativamente l’accumulo cerebrale della proteina amiloide, un biomarcatore chiave dell’Alzheimer. Il trial clinico ha coinvolto 4.400 individui di età compresa tra 65 e 85 anni, senza problemi cognitivi.
L’obiettivo era valutare la storia familiare degli partecipanti riguardo ai sintomi dell’Alzheimer, senza necessariamente una diagnosi formale, e monitorare i livelli cerebrali di amiloide per determinare eventuali correlazioni.
Secondo i risultati dello studio, la storia familiare materna di Alzheimer ha mostrato un impatto significativo sul livello di amiloide nel cervello dei discendenti. Il rischio di elevati livelli di amiloide sembra essere più pronunciato quando i sintomi provengono dalla madre, indipendentemente dall’età di insorgenza dei sintomi stessi.
Il neurologo Hyun-Sik Yang sottolinea che questo rischio aumentato non è limitato al momento in cui i sintomi materni si sono manifestati, ma sembra persistere anche nei casi in cui i genitori sono deceduti prima di sviluppare disturbi cognitivi.
Sebbene i risultati siano significativi, gli autori riconoscono alcune limitazioni come ad esempio l’etnia dei partecipanti. Quel che appare certo però è che il DNA materno possa giocare un ruolo chiave nel rischio di Alzheimer. Questi approfondimenti potrebbero essere cruciali per identificare e coinvolgere efficacemente individui asintomatici in studi di prevenzione futuri.