La tristezza è un’emozione più persistente delle altre. Ecco quanto durano le emozioni e quanto dipendono dall’evento scatenante
Ogni giorno viviamo una vera e propria montagna russa di emozioni: da quando apriamo gli occhi al mattino, fino a quando ci addormentiamo la sera, attraversiamo un ampio ventaglio di emozioni che vanno ad intaccare in modo più o meno evidente il nostro equilibrio psicofisico, in base all’entità dell’evento scatenante e al nostro modo di affrontarlo.
Ci sono emozioni più passeggere e altre più persistenti, tra quest’ultime la tristezza regna sovrana, tenendoci incatenati a lei molto più a lungo delle altre. Addirittura questo stato emotivo può arrivare a durare 120 ore.
In questo articolo, andremo ad analizzare insieme un esperimento in cui alcuni studiosi hanno cercato di indagare l’effettiva durata delle emozioni, a seguire ci concentreremo sulla tristezza, spiegando in cosa consiste, quali sono le sue conseguenze sul nostro benessere, provando a mettere in luce le motivazioni che la rendono così difficile da contrastare quando scaturisce dentro di noi in seguito ad un evento scatenante o un pensiero intrusivo.
Secondo un articolo pubblicato su Motion and Motivation, svolto da alcuni ricercatori della University of Leuven, in Belgio, la tristezza sarebbe la più duratura tra le nostre emozioni.
L’esperimento ha coinvolto 233 studenti delle scuole superiori, a cui è stato chiesto di ricordare episodi emotivamente rilevanti capitati di recente nelle loro vite, contestualizzandoli e riferendo quanto fosse durata quella specifica attivazione emotiva.
Dai risultati è emerso che la tristezza è la più duratura e può arrivare addirittura a tenerci imprigionati per 120 ore. A seguire troviamo l’odio che dura all’incirca 60 ore, la gioia 35 ore e l’ansia 24 ore e lo stesso vale per la delusione e la speranza.
Le emozioni più flebili e passeggere sono invece la gelosia, che dura meno di 15 ore e a seguire, in ordine decrescente di durata, si trovano entusiasmo, rilassatezza, stress, rabbia, noia, paura, vergogna e disgusto.
A stupire i ricercatori è stato il fatto che la tristezza abbia guadagnato il primato di emozione più duratura con un distacco netto di 60 ore rispetto all’odio, secondo il classifica. Questo vuol dire che, per quanto i dati riguardino una fetta ristretta di popolazione target, le conclusioni sembrano sufficientemente nette ed evidenti per poter considerare la tristezza un’emozione più difficile da contrastare in generale.
Quando si parla di emozioni non bisogna dimenticare che si tratta di una questione fortemente soggettiva.
Ognuno di noi dimostra delle reazioni differenti ad eventi scatenanti, sia comportamentali che di risposta emotiva. Un evento particolarmente saliente per un individuo, potrebbe essere considerato di poca importanza da un’altro e comportare delle risposte emotive opposte.
Gli eventi negativi che ci troviamo a vivere nella vita provocano l’ arousal, ovvero un’attivazione negativa che si dimostra più o meno persistente in base alla nostra capacità di farvi fronte per tornare alla normalità e quindi allo stato base di rilassatezza.
L’arousal entra in gioco quando viviamo situazioni stressanti e il nostro corpo corre ai ripari inducendo in noi delle reazioni compensatorie per poter elaborare l’evento e trovare la risposta comportamentale e psicologica più adeguata per poter tornare il prima possibile alla calma. Ma per la tristezza non è così semplice.
Questo meccanismo così utile a disinnescare emozioni come ansia, paura e stress, sembra funzionare meno bene per la tristezza, che invece è molto più sottile e silenziosa rispetto alle altre emozioni e può anche non essere indotta da alcun evento scatenante, ma è molto più relata a pensieri intrusivi o ricordi.
La tristezza, per definizione, è un’emozione spiacevole indotta da una mancanza e al bisogno di qualcosa o qualcuno. Fin da bambini la reazione più comune alla tristezza è il pianto, per cercare l’aiuto degli altri nel gestire il suo peso. Di per sé si tratta di un sentimento funzionale, ma può diventare patologica e provocare addirittura stati depressivi.
Si tratta di una delle sei emozioni fondamentali descritte da Paul Ekman, insieme alla felicità, alla rabbia, alla sorpresa, alla paura e al disgusto. Ed è caratterizzata da un senso di perdita, disperazione, dolore, impotenza e, come abbiamo visto, è collegata a una distanza che sentiamo di non poter colmare, un desiderio che sappiamo di non poter realizzare.
Quando la tristezza ci assale, tendiamo a reagire con uno di questi tre meccanismi:
Questi sono tre esempi di strategie di coping, ovvero tre modi di reagire individuali che dipendono sicuramente dall’evento scatenante e da quanto risulta saliente per l’individuo, ma soprattutto dalla capacità di reazione di ognuno di noi.
I risultati dell’esperimento che abbiamo visto oggi sicuramente sono utili per riflettere su quanto la tristezza, essendo legata a un senso di mancanza e impotenza, sia molto più duratura rispetto alle altre emozioni.
Tuttavia, le conclusioni dello studio non possono essere generalizzate perché, come abbiamo visto, ognuno di noi elabora le proprie strategie di coping per fare fronte agli eventi della vita, e queste dipendono il larga misura da come siamo cresciuti, dal nostro trascorso, dall’ambiente familiare più o meno supportivo in cui siamo nati e dalla nostra personalità.
Ad esempio, ci sono persone perfettamente in grado di gestire autonomamente la tristezza, ma del tutto incapaci di gestire la rabbia, quindi rimarranno prigionieri di quest’ultima molto più a lungo.
Il conclusione, possiamo dire che le emozioni fanno parte del pacchetto della nostra esistenza e che allontanarle non è mai la soluzione, perché per quanto possiamo cercare di fingere di non provarle e tenerle lontane, prima o poi subiremo il loro impatto.
La cosa migliore che possiamo fare è imparare il prima possibile qual è il metodo compensatorio in grado di agire come salvagente quando ci sentiamo in balìa delle nostre ondate emotive. La piccola luce di emergenza da accendere quando il buio della tristezza si ostina a tenerci prigionieri.
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