La mummificazione era un processo lento e laborioso che gli antichi egizi realizzavano per preservare l’integrità del corpo del defunto, che avrebbe così raggiunto la vita eterna
La mummificazione è il processo, naturale o artificiale, che rallenta o blocca la decomposizione di un cadavere. Le mummie naturali si formano in ambienti estremamente freddi o aridi, mentre la mummificazione artificiale, nota anche come “imbalsamazione,” viene praticata in determinati contesti culturali o religiosi.
Il termine imbalsamazione deriva dall’uso di balsami e profumi nel processo: gli antichi Egizi furono veri maestri in questa arte, praticandola per motivi legati alle loro credenze sull’aldilà (Duat) e in particolare per preservare i corpi dei faraoni.
Perché gli Egizi praticavano la mummificazione? Credevano che una parte dell’anima dei defunti, il ka, continuasse a vivere sulla terra dopo la morte. Per permettere al ka di ritornare al corpo e rinascere, era necessario conservarne almeno una parte.
In Egitto, la pratica dell’imbalsamazione si diffuse durante l’Antico Regno (2700-2200 a.C). Inizialmente riservata ai regnanti e ai sacerdoti, nel tempo divenne accessibile a chiunque potesse permetterselo. Il massimo livello di raffinatezza nelle tecniche di mummificazione fu raggiunto tra il 1500 e il 1000 a.C.
Le fasi del processo di imbalsamazione non sono del tutto chiare, poiché le fonti disponibili risalgono a secoli dopo l’epoca dei faraoni: Erodoto nel V secolo a.C. e il Papiro dell’imbalsamazione nel I secolo a.C, ma vediamo insieme le fasi di un’imbalsamazione di una persona di alto rango come descritte da Erodoto.
Il corpo del defunto veniva affidato dalla famiglia a imbalsamatori professionisti, che lo portavano nel “Luogo della purificazione” (Ibw, in egiziano). Qui il corpo veniva accuratamente lavato, quindi trasferito nella “Casa della bellezza” (Per Nefer): in questo luogo iniziava il processo di eviscerazione.
Per prima cosa, gli imbalsamatori rimuovevano il cervello: secondo Erodoto, usavano uncini metallici per estrarre la maggior parte dell’organo attraverso le narici, perforando l’osso etmoide.
Successivamente, con bastoncini di legno, raschiavano via i residui, facendoli scolare sempre attraverso le narici. Al posto del cervello, inserivano nel cranio unguenti e balsami di origine vegetale.
Dopo aver rimosso il cervello, gli imbalsamatori praticavano un taglio lungo il fianco del defunto per estrarre l’intestino, i polmoni, il fegato e lo stomaco.
A differenza del cervello, questi organi non venivano scartati ma essiccati nel natron, un composto di carbonato decaidrato di sodio, noto per la sua capacità di assorbire i liquidi.
Una volta essiccati, gli organi venivano riposti in quattro vasi canopi, destinati a essere sepolti con il defunto. Ogni vaso aveva un coperchio decorato con la testa di una delle quattro divinità, i figli di Horus, che proteggevano specifici organi: Amset, con testa umana, proteggeva il fegato; Kebehsenef, con testa di falco, l’intestino; Hapi, con testa di babbuino, i polmoni; e Duamutef, con testa di sciacallo, lo stomaco.
Il cuore rimaneva all’interno del corpo, poiché nella credenza egizia esso sarebbe stato soppesato contro la piuma della dea della giustizia Maat per entrare nel Duat, ovvero l’aldilà.
Dopo aver svuotato le cavità addominale e toracica, queste venivano lavate con vino di palma e riempite con unguenti e balsami a base di erbe e mirra, processo che serviva a eliminare i cattivi odori e a riempire le cavità, prevenendo eventuali deformazioni.
Successivamente, il corpo doveva essere essiccato e per farlo il cadavere veniva immerso nel natron per 40 giorni. Durante questo periodo, il natron disidratava i tessuti, eliminando i liquidi residui che avrebbero potuto causare decomposizione.
Inoltre, la disidratazione rendeva i tessuti più rigidi e scuri, conferendo alle mummie l’aspetto caratteristico che conosciamo.
Al termine dei 40 giorni, il corpo veniva estratto dal natron e lavato nuovamente con oli e resine vegetali. A questo punto, il taglio sul fianco veniva riaperto per rimuovere l’imbottitura di erbe, poiché i tessuti irrigiditi non ne avevano più bisogno. Le cavità addominale e toracica venivano poi lavate di nuovo con resine e oli. Queste sostanze, applicate sia all’interno che all’esterno del corpo, avevano proprietà antibatteriche che proteggevano i tessuti dalla decomposizione.
Dopo questo lungo processo, il corpo imbalsamato veniva avvolto in bende di lino durante un rituale in cui i sacerdoti bruciavano incenso e recitavano preghiere e invocazioni alle divinità.
Gli strati di bende erano incollati tra loro con colle naturali e resine, e tra di essi venivano posizionati piccoli amuleti protettivi. Una volta pronto, il corpo veniva riconsegnato alla famiglia, che procedeva alla sepoltura in base alle proprie disponibilità economiche: ad esempio i più ricchi potevano permettersi sarcofagi e maschere funerarie sfarzose.
Nel corso della millenaria storia egizia, i rituali funerari cambiarono più volte, influenzati dalle tradizioni religiose e dalle condizioni sociali ed economiche. Ad esempio, le famiglie che non potevano permettersi l’intero rituale sopra descritto optavano per parti di esso, come l’eviscerazione o la disidratazione.
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