Quando si diventa bulli? Analizziamo uno studio che permette di comprendere meglio come comportarsi di fronte a un adolescente problematico
Un numero considerevole di adolescenti subisce episodi di bullismo a un certo punto della propria vita. In risposta, alcuni cercano vendetta e diventano essi stessi bulli. Ma perché alcuni lo fanno e altri no? Una nuova ricerca condotta da studiosi in Cina suggerisce che il mondo interiore della vittima differenzia coloro che cercano vendetta da coloro che non lo fanno. Secondo questa ricerca, due modelli di pensiero in particolare hanno un’enorme influenza su come gli adolescenti interpretano e rispondono ai coetanei abusivi.
Uno di questi modelli di pensiero è un pregiudizio di attribuzione ostile, cioè la tendenza a supporre che, quando una situazione interpersonale è ambigua, l’interpretazione predefinita sia che le intenzioni dell’altra persona siano ostili. Ad esempio, se un coetaneo non risponde a un saluto nel corridoio, un adolescente con un pregiudizio di attribuzione ostile potrebbe automaticamente supporre che il coetaneo lo stia deliberatamente ignorando. Ma non potrebbe semplicemente essere che il coetaneo non risponde al saluto perché non lo ha sentito o era distratto? Un adolescente che ha sviluppato un pregiudizio di attribuzione ostile è iper vigilante; vede minacce ovunque. E basa le proprie reazioni su queste supposizioni senza verificarle.
In effetti, il modo in cui una vittima interpreta il bullismo può avere un’influenza pari a quanto spesso avviene il maltrattamento. Certo, essere frequentemente vittime di bullismo aumenta la probabilità di desiderare vendetta, ma un pregiudizio di attribuzione ostile spiega parte di questo legame; nella mente di queste vittime, ogni interlocuzione può essere una potenziale minaccia e incontri innocui vengono interpretati come persecuzioni.
Il secondo stile cognitivo viene detto in inglese ‘rumination’, significa fondamentalmente ‘ruminare’, ovvero arrovellarsi su quanto accaduto, sulle situazioni vissute, prendendo in prestito un altro inglesismo è il famoso overthinking. Tutti noi ripercorriamo mentalmente eventi spiacevoli. Ma c’è una differenza tra ripensare a un evento angosciante per comprenderlo meglio o affrontarlo più efficacemente e ripassare mentalmente i dettagli specifici e rivivere le emozioni ad essi legate. È questo tipo di gestione, che spesso sfocia in rabbia, può alimentare il desiderio di vendetta.
Se approfondiamo ulteriormente, possiamo esaminare chi è più incline a sviluppare questi stili di comportamento potenzialmente pericolosi. Ciò che porta una vittima alla violenza è il risultato di un complesso intreccio di fattori individuali e ambientali, ma sono stati identificati alcuni fattori di rischio per questi modelli di pensiero:
Collegando i puntini, come possiamo utilizzare questi risultati di ricerca per rendere le scuole più sicure? Supponiamo che un consulente scolastico sia preoccupato che un adolescente vittima di bullismo possa diventare violento per vendetta. Forse ha fatto osservazioni preoccupanti a un coetaneo, o un insegnante ha notato un atteggiamento sempre più belligerante in classe. Potrebbe essere utile sicuramente rivolgersi a un professionista per una valutazione del suo comportamento, predisponendo un colloquio tra il giovane e lo specialista. Le domande tipiche che gli verranno fatte probabilmente si concentrerebbero sul rischio generale che questi commetta atti violenti: piani specifici di vendetta, accesso e familiarità con le armi, valutare il suo stato di salute mentale, storia criminale o di violenza pregresse, attuando una comunicazione e delle strategie volte a fermare il bullismo e la loro efficacia.
Questi risultati suggeriscono che esplorare il mondo interiore di questo adolescente fornirà informazioni preziose. Potrebbe essere utile non solo chiedere con quale frequenza pensano al loro maltrattamento (quante volte al giorno o alla settimana), ma a cosa pensano. Quando ci pensano, su cosa si concentrano? Quanto tempo ci pensano (alcuni minuti, un’ora, diverse ore, di più)? Questi pensieri vengono fuori anche quando stanno cercando di concentrarsi su qualcos’altro? Se ci provano, riescono a liberarsi di quei pensieri? Si sentono più agitati e tesi dopo averci pensato, o li calma? Fantasticano mai riguardo a una possibile vendetta? In tal caso, cosa immaginano di fare?
Chiunque abbia valutato un adolescente per qualsiasi problema comportamentale aggressivo sa che è un processo dinamico; il rischio di violenza può cambiare rapidamente. Ecco perché è così importante deviare un adolescente arrabbiato ma non pericoloso verso risorse terapeutiche che possano costruire un rapporto, esprimere empatia e guidarlo verso meccanismi di comportamento più sani e non violenti. Una valutazione del suo stato e del suo comportamento può essere dettata anche da alcuni fattori ambientali che lo influenzeranno e lo porteranno a una reazione violenta, come:
In base a questo studio e questa analisi, si può affermare quindi che diventare un bullo non è un risultato inevitabile di essere stati bullizzati in precedenza. La maggior parte degli adolescenti vittimizzati possono elaborare la loro comprensibile rabbia senza ricorrere alla violenza. Possono evitare o liberarsi di un ciclo che li porta da vittima a bullo. Questo inizia con una valutazione attenta dei fattori di rischio relativi all’adolescente, con un lavoro utile a valutare il loro potenziale di violenza, oltre allo sviluppo di un piano di intervento appropriato in collaborazione con il consulente scolastico, i genitori e chiunque abbia un ruolo nella crescita del giovane. Intervenire precocemente aumenta le possibilità che siano ancora disponibili opzioni terapeutiche, dove il terapeuta prende sul serio il disagio dello studente e fornisce l’assistenza completa e compassionevole di cui hanno bisogno per crescere in maniera sana.
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