La paura generalizzata può essere provocata da un malfunzionamento interno al cervello, ecco la scoperta degli ultimi giorni
Il PTSD, ovvero il Disturbo Post Traumatico da Stress, subentra dopo un evento stressante e consiste in una condizione psicologica deleteria per chi ne soffre.
Tutto parte da un trauma non elaborato correttamente, che letteralmente perseguita chi lo ha vissuto attraverso pensieri intrusivi, ansia e paura generalizzate. Questo comporta che l’attivazione emotiva e fisica non smetta mai di possedere chi ne soffre e lo induca a vivere in un costante stato di tensione, anche durante le ore notturne.
Questa condizione psicologica provoca una distorsione della realtà, ovvero uno stimolo innocuo può diventare uno stimolo minaccioso per chi ha subito un trauma e rivede in quel semplice oggetto o momento di vita quotidiana una sorta di flashback che lo riporta indietro nel passato doloroso da cui sta cercando di scappare inutilmente.
In questo articolo vi racconteremo delle importanti conclusioni a cui uno studio ha consentito di giungere, ma quello che ci teniamo a sottolineare è che un percorso di terapia psicologica è sempre una buona idea e può rivelarsi fondamentale affinché qualsiasi trattamento farmacologico possa avere successo, soprattutto con il passare del tempo: solo andando a rimarginare la ferita psicologica si può sperare in un miglioramento, che non può esserci senza la corretta elaborazione del trauma.
Detto questo, addentriamoci nello studio divulgato pochi giorni fa da Science, che ha messo in luce importanti novità riguardo al disturbo d’ansia, o di paura, generalizzato.
Il ruolo della paura nel PTSD
La paura è fondamentale per l’uomo perché ci consente di reagire attraverso una risposta fight or flight nei confronti difronte ad una minaccia. Però può anche diventare disfunzionale se cominciamo a provare paura anche quando questa minaccia non esiste nella vita reale ma viene solo percepita da noi come tale. Ad esempio, una donna che ha subito uno stupro, tenderà a provare uno stato di ansia e paura ogni volta che si troverà da sola circondata da uomini anche se questi non stanno in alcun modo minacciando la sua persona.
Alcuni ricercatori dell’Università della California di San Diego hanno voluto approfondire da dove nascono le paure immotivate causate da eventi stressanti o traumatici, proprio come nel caso del PTSD. Questa scoperta è di vitale importanza perché permette di individuare delle terapie efficaci, mirate a soffocare queste paure, permettendo ai pazienti di provare sollievo e di ristabilire uno stato di calma.
Andiamo ad indagare cosa ha messo in luce lo studio pubblicato su Science il 15 marzo 2024.
Uno sguardo allo studio: uno switch tra neurotrasmettitori
I nuclei del rafe sono gruppi di neuroni situati nel tronco encefalico, specificamente nel mesencefalo e nel ponte. Questi nuclei sono coinvolti nella regolazione dei livelli di serotonina nel cervello. La serotonina è un neurotrasmettitore coinvolto in molte funzioni cerebrali, inclusi l’umore, il sonno, l’apprendimento e la memoria.
Secondo Hui-Quan Li, Atkinson Nick Spitzer e colleghi, uno stress potente e inatteso può provocare un cambiamento a livello dei neurotrasmettitori, ovvero i messaggeri che permettono appunto ai neuroni di comunicare tra loro: il glutammato, che di solito provoca uno stato di eccitazione ed è il diretto responsabile della trasmissione degli impulsi nervosi, viene sostituito dal GABA (acido gamma-amminobutirrico), il principale neurotrasmettitore inibitorio del sistema nervoso centrale.
Lo stress acuto produce paura generalizzata facendo sì che i neuroni serotoninergici cambino il loro co-trasmettitore dal glutammato al GABA.
In poche parole, questo switch di neurotrasmettitori provocherebbe il senso di paura generalizzato tipico del PTSD.
Questa scoperta è stata possibile grazie ad un’indagine condotta sul cervello dei topi, ma successivamente gli studiosi hanno voluto vederci più chiaro e hanno analizzato il cervello umano post-mortem di individui che in vita avevano sofferto di Disturbo da Stress Post Traumatico, e hanno trovato delle conferme a quanto verificatosi nel cervello degli animali.
La prova decisiva dello studio
Per avere una conferma rispetto al ruolo del GABA nel disturbo d’ansia generalizzato, i ricercatori sono andati ad iniettare una sostanza in grado di inibire la sintesi del neurotrasmettitore GABA in alcuni topi.
Hanno dimostrato in questo modo che il farmaco aveva una capacità preventiva: la fluoxetina (stesso principio attivo del farmaco per umani Prozac) riusciva a fare in moto che lo switch dei neurotrasmettitori non avvenisse più, o quantomeno lo facesse in misura minore, prevenendo l’insorgenza dell’attivazione tipica della paura generalizzata.
Non solo i ricercatori hanno identificato la posizione dei neuroni che hanno cambiato il loro trasmettitore, ma hanno dimostrato le connessioni di questi neuroni all’amigdala centrale e all’ipotalamo laterale, regioni cerebrali che in precedenza erano legate alla generazione di altre risposte di paura.
Perché il GABA gioca un ruolo essenziale?
Il GABA è un neurotrasmettitore inibitorio, che agisce come una sorta di anestetico sui neuroni e li fa diventare incapaci di ricevere qualsiasi tipo di segnale nervoso. Il passaggio da glutammato a GABA nei neuroni serotoninergici del nucleo del rafe produce un effetto a cascata che va a provocare il disturbo d’ansia, o paura, generalizzato.
Perché questa scoperta è così importante?
I risultati dei ricercatori consentono di trarre delle conclusioni importanti per il benessere delle persone. Infatti, sapere qual è l’origine cerebrale della paura generalizzata, è un passo in avanti essenziale sia per prevenirla che per combatterla.
Ecco come Spitzer ha sottolineato l’importanza delle conclusioni appena tratte:
“I nostri risultati forniscono importanti informazioni sui meccanismi coinvolti nella generalizzazione della paura. Comprendere questi processi a questo livello di dettaglio molecolare ci aiuterebbe a sviluppare interventi specifici per chi soffre di disturbi ad essi correlati. Queste nuove conoscenze, potrebbero aiutarci a progettare interventi mirati e specifici per i singoli pazienti”
“Il vantaggio di comprendere questi processi a questo livello di dettaglio molecolare – cosa sta succedendo e dove sta succedendo – consente un intervento specifico per il meccanismo che guida i disturbi correlati“.
In conclusione, possiamo dire che questo studio confermi l’importanza di approfondire quelli che sono i meccanismi interni del “problema”. Il cervello umano nasconde al suo interno molti segreti ancora da scoprire e indagare, che una volta portati alla luce potrebbero migliorare la vita a migliaia di persone.