Che cos’è la curiosità e cosa la alimenta? Le sue basi neurologiche sono tuttora oggetto di indagine, ecco cosa dicono gli scienziati
Perché gli esseri umani sono curiosi? Se lo sono chiesti ricercatori e studiosi che hanno cercato per anni di scoprire cosa influenzi questo segno distintivo dell’esperienza umana. La curiosità è una caratteristica che William James, uno dei primi psicologi moderni, definì come “impulso verso una migliore cognizione“. Questo impulso ci attira verso l’incertezza facendoci comprendere come funziona il mondo e senza di essa l’uomo non si sarebbe mai evoluto. Per tutta la vita ci guida verso scelte più o meno giuste, ma perché questo accade?
La curiosità è il motore dell’esplorazione umana, l’interesse nell’apprendere, scoprire o comprendere qualcosa di nuovo. Ci spinge a esplorare il mondo intorno a noi, a porci delle domande e ovviamente a cercare le risposte. La curiosità è un’abilità fondamentale che ci guida verso la crescita personale, l’innovazione e il progresso della società. La curiosità aiuta i bambini a crescere e muovere i primi passi nel mondo che li circonda.
Le sue basi neurologiche sono tuttora oggetto di indagine. Che cos’è la curiosità e cosa la alimenta? “La curiosità è la forza trainante dell’apprendimento delle cose del mondo“, spiega Celeste Kidd, neuroscienziata dell’Università della California a Berkeley. “È ciò che ci motiva a far ricerca sulle questioni che non capiamo, in modo da imparare da esse. È come un circolo continuo che opera al di sopra della nostra comprensione: ci attira verso l’incertezza, e in questo modo ci aiuta ad apprendere come funziona il mondo». Chi è curioso “sa di non sapere” e quindi vuole capire di più. “Per realizzare che si sta sperimentando un certo grado di incertezza, c’è bisogno di masticare almeno un poco di un dato argomento“, continua Kidd. “Una volta che ci si trova nell’incertezza, la curiosità interviene per motivarci a risolverla: si impara ancora un po’ e così si diventa “non certi” su nuove cose. In sostanza è una raffinata soluzione evolutiva per motivare le creature intelligenti a continuare a espandere le loro conoscenze nel corso della vita“.
La neuroscienziata Kidd spiega che solitamente desideriamo trovare cose da apprendere che siano un po’ più sorprendenti e nuove rispetto a quelle che sappiamo, ma non troppo. “Attraverso esperimenti di eye tracking (in cui si segue la direzione dello sguardo del bambino) abbiamo osservato che i bambini sono interessati soprattutto agli eventi che sono appena un po’ sorprendenti rispetto a quello che già sanno. Lo sono meno rispetto a quelli che sono o eccessivamente attesi (poiché non offrono opportunità di imparare e quindi annoiano) e a quelli troppo sorprendenti”. “In fondo si tratta di una strategia utile a rimuovere mentalmente il materiale che è ancora fuori dalla portata rispetto a quello che il bambino è pronto a imparare. Immaginate di dover scegliere un libro da leggere da uno scaffale. Non vorreste un libro in una lingua straniera che non sapete leggere o su un tema che non vi è familiare: vi mancherebbero le conoscenze di base per capirci qualcosa“.
Per continuare a essere persone curiose è importante non perdere mai l’entusiasmo verso l’esplorazione e le novità. La curiosità si può allenare guardando film che ci incuriosiscono o ascoltando nuova musica, viaggiando o leggendo. “Quando qualcosa stimola la nostra curiosità, mobilita i circuiti cerebrali che processano il neurotrasmettitore dopamina“, spiega Charan Ranganath, neuroscienziato dell’Università della California a Davis. “La dopamina ha molte funzioni, ma è importante soprattutto perché stimola le persone a perseguire un obiettivo, sia esso concreto come una pizza quando si ha fame o astratto come la ricerca di informazioni. La dopamina ha un impatto sulla nostra attenzione, perciò siamo più disponibili a concentrarci su ciò che è rilevante. Il cervello curioso aiuta (anche) la memoria. Questa molecola favorisce anche la plasticità cerebrale, cioè l’abilità dei circuiti neurali di immagazzinare nuove informazioni. Per cui, se parti del nostro cervello vengono inondate di dopamina e nel corso di questo processo si incontra qualche altro elemento che non c’entra, è più probabile che si formino nuovi ricordi anche su ciò che si è incontrato”, continua Ranganath.
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