Per via dell’assenza di peso, nella Stazione Spaziale Internazionale anche l’alimentazione non è per niente un gioco da ragazzi
Il Colonnello dell’Aeronautica Walter Villadei attualmente si trova nella Stazione Spaziale Internazionale, dopo essere partito il 17 gennaio scorso con la missione Axium-3.
Tra gli esperimenti che compirà in orbita ce n’è uno in collaborazione con Barilla, la quale ha fornito 3kg di fusilli già cotti e stabilizzati conditi con olio e sale, per testare la tenuta e la consumabilità a lungo termine della pasta nello spazio, ma cosa significa mangiare in orbita? Scopriamolo insieme!
In orbita la questione alimentazione è estremamente delicata e importante, perché la microgravità altera quello che succede all’interno del corpo umano.
In assenza di peso l’invecchiamento cellulare accelera e l’alimentazione è fondamentale per contrastarlo; inoltre, la densità ossea e il tono muscolare diminuiscono significativamente e per evitare danni gli astronauti devono fare circa 2 ore e mezza di attività fisica ogni giorno, il che comporta un notevole consumo calorico.
Per tutti questi motivi la loro dieta deve essere studiata nei minimi dettagli, in termini sia di apporto calorico sia di sostanze nutritive.
La dieta di ciascun astronauta o cosmonauta viene concordata mesi prima della partenza: deve essere quanto più bilanciata e completa possibile: secondo il principio del piatto unico di Harvard, 50% tra frutta e verdura, 25% di proteine e 25% di carboidrati. L’apporto calorico è di circa 3000 kcal al giorno per gli uomini e 2000 kcal per le donne.
Contrariamente a quanto qualcuno potrà pensare, i pasti consumati in orbita sono a base di alimenti che mangiamo anche qui sulla Terra: il cibo spaziale degli astronauti, quindi, include frutta e verdura, carne, pesce, legumi, zuppe, dolci e così via.
Vietatissimi gli alimenti che possono produrre briciole, come il pane: non sarebbe molto sicuro avere frammenti di cibo che fluttuano ovunque nella stazione spaziale!
Tipicamente il menù si ripete ogni 7-8 giorni (cosa che può essere piuttosto pesante visto che le missioni nella Stazione Spaziale durano circa 6 mesi!).
Ci sono anche delle eccezioni: gli astronauti possono portare in orbita una pietanza a loro scelta (il cosiddetto bonus food). Che bonus food hanno scelto gli ultimi astronauti italiani? Insalata di quinoa con sgombro e verdure per Samantha Cristoforetti, lasagna per Paolo Nespoli, parmigiana di melanzane e tiramisù per Luca Parmitano. Questi pasti sono stati realizzati a Torino, dall’azienda Argotec.
Molto del cibo degli astronauti è liofilizzato, disidratato o in scatola. Particolarmente comuni anche le pietanze precotte sigillate a vuoto.
Il motivo è presto detto: in un ambiente come quello della Stazione Spaziale Internazionale il cibo deve conservarsi più a lungo possibile senza deteriorarsi, essere di facile consumazione e non deve richiedere una preparazione complessa. Inoltre, visti gli altissimi costi di trasporto (10-20.000 $ al kg), è preferibile tenere al minimo il peso e l’ingombro.
La maggior parte del cibo spaziale è contenuto in scatole o in lattine, oppure sigillato a vuoto in buste di plastica o alluminio, che vanno aperte con delle forbici. I cibi liofilizzati vengono poi inseriti in un’apposita macchina per la reidratazione.
Per motivi abbastanza ovvi è meglio evitare il fuoco nella Stazione Spaziale, quindi non ci sono bruciatori a gas ma scaldatori a microonde e a induzione.
Anche volendo usarli per prepararsi due spaghetti, in condizioni di microgravità è molto difficile far bollire l’acqua e il vapore prodotto non andrebbe particolarmente d’accordo con la strumentazione di bordo.
Piatti e vassoi sono magnetici o dotati di velcro per farli aderire anche senza gravità, mentre I condimenti, come sale e pepe, vengono forniti in forma liquida, altrimenti volerebbero ovunque rischiando di finire negli occhi degli astronauti o in qualche circuito elettrico.
Gli alimenti ad alto contenuto acquoso, come le zuppe, non sono problematiche come si può pensare, perché la tensione superficiale tende a farli aderire al contenitore e al cucchiaio. I succhi di frutta e l’acqua vengono invece consumati con apposite cannucce.
A proposito di come fanno gli astronauti a bere l’acqua, nella Stazione Spaziale Internazionale è presente un complesso sistema di filtraggio che trasforma le urine e il sudore degli astronauti in acqua potabile.
Questo perché portare in orbita tutta l’acqua che servirebbe all’equipaggio dell’avamposto orbitale sarebbe costosissimo ed enormemente difficoltoso dal punto di vista logistico.
In condizioni di assenza di peso i fluidi corporei non tendono ad accumularsi nella parte bassa del corpo per effetto della gravità, come qui sulla Terra, ma si distribuiscono più uniformemente nell’organismo.
Spesso infatti il viso degli astronauti in orbita è più gonfio rispetto a quando sono a terra. Parte di questi fluidi si accumula anche tra naso e bocca, un po’ come quando si ha una congestione nasale.
Questo altera le sensazioni olfattive e gustative: il cibo nello spazio ha meno sapore! Per questo motivo non è infrequente per gli astronauti consumare generose dosi di peperoncino.
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