Gli effetti del riscaldamento globale sono sempre più evidenti e, in alcuni casi, superano anche le previsioni più pessimistiche.
Le notizie sugli eventi climatici estremi che devastano intere città sono purtroppo ormai all’ordine del giorno e ci ricordano come il cambiamento climatico sempre più reale e pressante. Non solo, la varie tragedie ci ricordano anche che si tratta di un problema che abbiamo troppo a lungo sottovalutato e che oggi presenta il suo conto mettendo a rischio la vita di migliaia di persone che vivono in zone ad alto rischio.
Nel panorama mondiale, una delle realtà più preoccupanti è senza dubbio quella che emerge dal cuore ghiacciato della Groenlandia. Questo territorio remoto, avvolto in una coltre di ghiaccio, è testimone di un fenomeno allarmante: sta scomparendo a un ritmo molto più veloce di quanto precedentemente stimato.
Alcune recenti rilevazioni hanno evidenziato come l’impatto del riscaldamento globale sia stato fortemente sottovalutato nel caso dei territori della Groenlandia. La calotta glaciale su cui sorge, che fino a qualche anno fa aveva una dimensione paragonabile a tre volte quella del Texas, ha subito una perdita di massa sottostimata del 20%, cioè corrispondente a più di 1.000 gigaton (un trilione di tonnellate metriche).
La scoperta, pubblicata su Nature da un team guidato da Chad Greene del Jet Propulsion Laboratory della NASA, pone ancora una volta in discussione le nostre precedenti stime e modelli climatici. Il processo di calving, ovvero la frantumazione dei ghiacciai che si staccano e galleggiano come iceberg, gioca un ruolo cruciale in questo scenario.
Per anni, l’attenzione si è concentrata sullo scioglimento superficiale, trascurando l’impatto del calving lungo i margini costieri della Groenlandia. Ora, la comprensione di questo fenomeno diventa essenziale: i ghiacciai che si riversano in acqua influenzano direttamente il livello del mare e la circolazione oceanica.
Il ritiro della calotta glaciale della Groenlandia non è quindi solo una questione locale, ma anzi ha il potenziale di ristrutturare la circolazione oceanica globale, in particolare l’Atlantico Meridiano Overturning Circulation (AMOC), un sistema cruciale per il trasporto di calore e nutrienti nei mari.
Julienne Stroeve, chief science officer di Arctic Basecamp e professore presso l’University College London, sottolinea l’importanza di questa scoperta. La sfida ora è integrare questi nuovi dati nei modelli climatici per prevedere l’evoluzione futura dei ghiacciai e il loro impatto sull’innalzamento del livello del mare. Gli scienziati sono impegnati a mappare i ghiacciai più sensibili ai cambiamenti climatici, una ricerca che può fornire indicazioni vitali per le prossime strategie di mitigazione. Ma è sempre più chiaro che si tratta di una corsa contro il tempo.
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