Una nuova, straordinaria, scoperta potrebbe aprire squarci di luce nella lotta contro l’Alzheimer, terribile malattia neurodegenerativa
Un labirinto intricato che si insinua nel tessuto delle vite. Parliamo della malattia di Alzheimer, una delle più terribili tra quelle neurodegenerative. Questo male, che ferisce non solo chi ne è affetto, ma anche chi assiste i malati, continua a sfidare la scienza. Ma, fortunatamente, il lavoro dei ricercatori è diuturno e forse oggi potremmo essere di fronte a un passo in avanti importante per la comprensione di questo male.
Caratterizzata da una progressiva perdita di memoria e capacità cognitive, l’Alzheimer colpisce milioni di persone nel mondo, creando un impatto significativo sulle famiglie e sul sistema sanitario. Fin dalla prima scoperta e diagnosi, questa malattia ha suscitato grandi interrogativi. Del resto, il cervello umano è quello che ancor ci nasconde tanti, troppi, misteri.
Nel corso dei decenni la ricerca ha svelato molti dei suoi segreti, ma la diagnosi rimane una sfida. Spesso, i sintomi iniziali vengono confusi con il normale processo di invecchiamento, ritardando l’inizio di un trattamento tempestivo.
Gli studi hanno individuato la presenza di placche di beta-amiloide e grovigli di proteine tau nel cervello dei pazienti affetti da Alzheimer. Queste anomalie interferiscono con la comunicazione neuronale, provocando danni progressivi alle cellule cerebrali. Oggi, invece, le ultime conclusioni di rango scientifico ci danno ulteriori informazioni che potrebbero essere decisive, un domani, per la sconfitta di questo male.
Secondo un recentissimo studio pubblicato su Nature Aging da un gruppo di scienziati olandesi della Vrije Universiteit Amsterdam, esisterebbero almeno cinque varianti di Alzheimer. Gli studi su oltre 400 pazienti avrebbero indicato un mix di proteine che caratterizzerebbe i sottotipi. I pazienti con il sottotipo 1 mostrano un’aumentata produzione di proteina amiloide, il sottotipo 2 è caratterizzato da un eccessivo sfoltimento delle proteine e delle sinapsi associate alla microglia, il sottotipo 3 (il più raro) mostra una mancata regolazione dell’RNA, il sottotipo 4 è caratterizzato dai problemi con il plesso coroideo, la struttura che produce il liquido cerebrospinale. Infine, il sottotipo 5 rileva una ridotta produzione di amiloide accompagnata dalla degenerazione della barriera ematoencefalica.
Gli sforzi si concentrano sulla comprensione dei meccanismi molecolari, sullo sviluppo di terapie farmacologiche innovative e sull’identificazione di biomarcatori per una diagnosi più precisa. Attraverso la comprensione di questi cinque (o più) sottotipi, infatti, si potrebbero implementare nuove terapie per una malattia che, al momento, non ha cure realmente efficaci. Nuove terapie sperimentali potrebbero così offrire una speranza concreta per il futuro.
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