E’ un momento difficile e soprattutto toccante quello raccontato da Raoul Bova, senza filtri e a cuore aperto: le sue parole.
Quando parliamo di Raoul Bova, facciamo riferimento a uno degli attori più amati nel panorama dello spettacolo italiano: da sempre apprezzato per la sua bellezza e il suo fascino innegabile, è sin da subito riuscito a dimostrare anche quelle che sono le sue doti attoriali.
Ed è proprio per questo motivo che, ultimamente, tutti noi non possiamo fare a meno di aspettare con ansia i suoi nuovi progetti: soprattutto da quando per Raoul Bova è arrivato il momento di saggiare con più attenzione il mondo delle fiction, da sempre molto amato dallo spettatore italiano.
A discapito di quanto si potrebbe pensare, però, non si tratta certo di un percorso facile, come spiegato dallo stesso Raoul Bova.
Come tutti noi abbiamo visto, è da poco cominciata su Canale 5 una nuova fiction con protagonista uno degli attori di punta del palinsesto: ovvero Raoul Bova, che vestirà i panni di Riccardo Bramanti nella nuova serie “I Fantastici 5“. Un progetto senz’altro molto ambizioso, che cerca di portare sul piccolo schermo la vita di cinque ragazzi con disabilità che hanno trovato, proprio nello sport, la forza di andare avanti e soprattutto di mettersi in gioco. Ed è proprio l’attore che, nel corso di un’intervista, si apre e parla a cuore aperto.
Ha voluto raccontare delle difficoltà e spesso dei timori che ha dovuto affrontare e soprattutto superare nel corso della preparazione di questa nuova serie. Raoul Bova, infatti, non nasconde quelle che erano le sue paure nell’affrontare i temi delicati e spesso complessi di questa serie, rischiando di cadere, quindi, nei cosiddetti stereotipici sulla disabilità, e non riuscire a rappresentare in maniera consona il messaggio che vuole lanciare questa serie.
Nonostante le sue paure, però, Raoul Bova si dice contento perché con del duro lavoro e soprattutto leggendosi dentro è infine riuscito a trovare, aiutato anche dall’equipe della serie, quella che poteva essere la quadra. O, per meglio dire, la chiave d’accesso per riuscire a rappresentare in modo originale ma anche veritiero il racconto che si voleva mettere in scena. Ovvero dei ragazzi con disabilità, ma immersi nella loro normalità proprio come tutti gli altri giovani della loro età: con la famiglia, con le sfide dell’adolescenza ma anche nei rapporti con i coetanei.
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